Il Sol Levante è terra di profonde suggestioni, di ispirazioni potenti, capaci di influenzare l'immaginario collettivo fino all'altra parte del globo.
Le immagini di motociclette spaventosamente audaci, allucinanti, al tempo stesso in accordo ed in rottura con la tradizione più classica del chopper, omaggiando ma innovando l'estetica e lo stile del custom planetario, sono state filtrate da riviste, magazine, siti internet. Non ne abbiamo che un'immagine riflessa, e ciò nondimeno sono state e sono ancora capaci di colpirci.
Ma a volte, dico a volte, capita di incontrare qualcuno che quello stile, quell'estetica, quel mondo di club misteriosi ma celebri in modo sotterraneo, l'ha vissuto in prima persona, e può raccontarlo.
Quel qualcuno, a Roma, ha la barba rossa, gli occhi azzurri ed il sorriso sveglio di un uomo sulla trentina.
Incontro Gianluca per la prima volta un annetto fa, una tarda sera di marzo, davanti a Marmorata. Lui e Luca sono cari amici, e non è raro trovarli insieme a passare del tempo al rinomato negozio vicino a Testaccio.
Nei venti minuti in cui parliamo lì fuori, mi racconta qualche cosa dei suoi viaggi in Giappone, vere e pazzesche storie di un altro mondo. Chiaramente un chopperfag come me non può rimanere indifferente ad ascoltare questi racconti, dunque era solo naturale che finissi, come al mio solito, per rompere le palle a Gianluca per fotografare il suo clamoroso Shovel, nipponico che più non si potrebbe, e a raccontarmi di nuovo dei suoi amici del Basara MC, il club più allucinante, illegale e temerario del Giappone, e tra i più conosciuti al mondo.
Dunque l'altro sabato mattina Gianluca è così gentile da darci appuntamento di fronte a Marmorata, per due chiacchiere e due foto, la combo perfetta.
Ovviamente sono in ritardo, e il suo Shovel da battaglia già riposa sul vialone. Dopo una birretta (sua, io ero ancora in mezza belanda dalla sera prima), ci facciamo un giro in zona Testaccio, diretti ad un luogo dall'aria urbana e spettrale, che si accorda perfettamente al carattere ferroso e duro della motocicletta.
Basta un solo kick e il motore torna pronto alla lotta. Chi di voi ci sa fare con photoshop, per favore mi photoshoppi via quella orrenda campana della differenziata.
Checché ne dicano i detrattori, una moto così è in realtà perfettamente guidabile, anche nella realtà quasi apocalittica delle strade di Roma.
Chiaramente largo merito va attribuito al talento del pilota, e Gianluca non sembra mancarne.
Da vedere andare è un vero spettacolo. La seduta è incassata nel telaio, la moto è rasoterra e fila via come una cavalletta nel vento, svicolando fra gabbie a quattro ruote e buche assassine.
Nonostante una certa età, il 1200 Shovel si difende piuttosto bene (a dir poco) e tira come un trattore, terrorizzando ignari automobilisti sotto il ponte della metro.
Il gasometro è una struttura adibita allo stoccaggio di gas cittadino, e in zona Ostiense a Roma ce ne sono ben quattro ormai in disuso. La loro forma vagamente inquietante e scheletrica è diventata parte integrante del paesaggio cittadino, ed è ormai caratteristica di una certa parte di Roma che ora sta venendo lentamente riqualificata.
Ma a noi, di queste note di folclore, non ce ne frega una ceppa: ci interessa solo la moto parcheggiata davanti.
Ma a noi, di queste note di folclore, non ce ne frega una ceppa: ci interessa solo la moto parcheggiata davanti.
La moto in questione, per l'appunto, risente di una fortissima influenza degli incontri giapponesi di Gianluca.
Gianluca conosce i Basara nel 2008, quando con Luca si reca a Yokohama per il Mooneyes Hot Rod & Custom Show. Stringe subito amicizia con Yuji, uno dei membri effettivi, e negli anni successivi ha modo di coltivare ed approfondire l'amicizia e la conoscenza con altri membri del club.
La moto su cui Gianluca riversa tutto il fascino subito in Oriente è un FXS del 1977, trasformata grazie anche alle sapienti mani di Lorenzo Consigli, forse il miglior interprete dello stile giapponese in Italia? Ma sì dai.
Il mezzo è passato alla storia come Lowrider, una delle creazioni della MoCo che ha giustamente goduto di miglior fama e fortuna nel corso degli anni. Il 1977 è stato l'anno della sua presentazione a Daytona, ci spiega Gianluca, e il modello in questione uscì nella seconda parte dell'anno. Dunque un primo modello (quasi) immacolato.
Importata nel 1995 da un finanziere, la moto fa qualche passaggio di mano prima di arrivare, qualche anno fa, tra le mani di Gianluca, ancora in ottime condizioni e con un chilometraggio decente.
E qui parte la nostra storia, e comincia la modifica radicale. Del modello originale vengono conservati volutamente alcuni tratti caratteristici, giustamente. Ad esempio cerchi e forcella davanti sono gli stessi con cui il Lowrider usciva di fabbrica.
Alla molla della forcella davanti vengono tagliate 9 spire per un abbassamento importante, mentre il doppio disco e il cerchio 9 razze rimangono intoccati (9 razze perché la moto uscì nella seconda parte del '77, nella prima usciva con 7).
Anche il cerchio dietro rimane al suo posto, gli viene solo montata sopra una brutalissima gomma da macchina drag (si può notare dal fatto che la fascia bianca è solo da un lato).
Spicca il bananone-pinza tipico dei vecchi Shovel. Gianluca ci racconta che la tradizione vorrebbe che sul cerchio dietro vengano montati corona-disco frenante sul lato sinistro, per semplificare al massimo la linea e la funzionalità del retrotreno.
La gomma è stata un dono proprio dei suoi amici giapponesi: la cosa che rende la moto ancora più sparafleshante è la quantità non solo di chicche, ma di pezzi veri e propri datigli in regalo dai Basara.
Tra tutti, il particolare più caratteristico sono le barre con cui la moto è stata resa rigida.
Quelle barre, che non son barre, sono in realtà un frammento della parte inferiore del telaio degli Shovel swingarm: il telaio viene tagliato nella parte sottosella, vicino all'aggancio del forcellone. Ai mozziconi che restano in mano viene saldata una boccola e girati al contrario, e sono pronti perfetti per essere montati sulla moto.
Questo trucco è un modo molto pratico e spiccio per ottenere un rigido senza modificare troppo il telaio swingarm. Basta solo avere per le mani un telaio di uno Shovel!
Sopra la pedanina potete vedere una scatoletta dove il nostro amico tiene un paio di candele di riserva, unico sgarro che fa alla regola che vorrebbe la moto spogliata di ogni cosa.
Il manubrio è l'ormai famoso (famoso proprio per i Basara) "spaccapolsi" (in realtà non spacca niente). E' l'esatta replica di quello che Yuji ha regalato a Gianluca: l'originale però se l'è inguattato il Consigli montandolo sul suo Pan, dunque il nostro eroe ha dovuto cannibalizzare un vecchio buckhorn di un Ironhead, tagliando, piegando e risaldando, e tenendolo su con una piastrina di un FLH.
A comandare il gas interno ci pensa una manopola di un vecchio Panhead, "tagliata fino alla scritta Harley-Davidson", mi fa notare Gianluca. Il freno minimal è invece una Nissin di un R1, senza serbatoio olio. Magari non ferrovecchio, ma comunque Japan.
Il faro rimane quello originale strafigo con la palpebra, che non ho capito perché lo levano tutti quanti (tra cui io) ma rimane uno dei più bei fari Harley. Qualche "buco per la velocità" e via. Sotto, la medaglietta del dealer originale che vendette la moto. Notare che negli anni '70 era "Suburban", ed ora si chiama "City Limits": evidentemente Chicago s'è allargata.
Il serbatoio è di un vecchio Hercules (non so perché la pagina wiki sulle Hercules esiste solo in francese) del '45, automatico; tiene un 6 litri, che non sono molti, ma uniti ad un buon consumo ti portano abbastanza lontano dalla giungla urbana, se lo vuoi.
Ne ha fatta di strada da quando era montato qua sopra...
Bello vetusto come piace a noi, su di esso campeggia anche l'adesivo dei Basara, il cui simbolo è la carpa koi. "Il serbatoio è montato a filo del telaio, ma non in avanti come farebbero in America, ma più all'indietro verso la sella", dice Gianluca. "In questo modo ce l'hai quasi in mezzo alle gambe, il che aiuta anche nel controllo". Altro trucchetto niente male.
Va come scende da qua. Il parafango dietro, secondo la migliore tradizione, è riciclato dal vecchio Sportster di Paolo Cenciarelli, suo compagno di scorribande nella Barbers Crew, di cui Gianluca per qualche tempo ha fatto parte.
Il fanalino dietro è un classico ed intramontabile Sparto, l'originale, direttamente dalla perfida Albione.
Primaria è a catena in carter secco: viene lubrificata da un "piselletto" (termine tecnico, pregasi notare) che innaffia di olio motore la trasmissione. "In Giappone avrebbero levato tutto, lasciando la catena libera, senza cover" ci spiega, "leverebbero anche il motorino d'avviamento, e il serbatoio dell'olio lo cambierebbero con uno "police", che esce un po' all'infuori ma lascia un sacco di spazio libero nel sottosella".
Sul carburatore Keihin originale viene montato solo un bird deflector in alluminio.
"Gli scarichi normalmente sparerebbero all'insù...io ho dovuto abbassare quello davanti perché mi squagliava la pedana", se la ride Gianluca. "Poi in Giappone hanno i comandi centrali e altissimi, ma sono anche alti 10 cm di meno...ho dovuto fare un compromesso". La seduta è comunque cattivissima, ma almeno non ha le ginocchia in gola.
La moto è un vero portento, costruita per andare e durare, con soluzioni minime ma efficaci. E come per ogni cosa, sono le storie ad accompagnarla a renderla ancora più unica.
Ogni singolo pezzo, ogni singola modifica, è frutto di un'attenzione e di una cultura non comuni, rese perfettamente realtà grazie alle influenze di Gianluca e l'esperienza di Lorenzo Consigli, suo caro amico e meccanico dalla fama cult (o "kult", meglio) a Roma (di cui peraltro abbiamo già visto altre strepitose creazioni su queste pagine), che l'ha aiutato nella realizzazione del mezzo.
E di cultura e esperienza Gianluca ne ha una discreta quantità, ed è l'unico gaijin a poter raccontare i Basara dall'interno, avendo partecipato anche ad uno dei loro raduni, il Bon Run.
"Qualche anno fa mi invitarono al Bon Run, pur non facendo parte del club, e li seguii. Si ritrovarono a metà strada con i membri del sud del Giappone, e poi arrivammo a Fukui. Più o meno 600 chilometri di strada da Tokyo".
"Si chiama così per Bon-San. Era il migliore amico del presidente, e il run venne chiamato così in sua memoria".
La mia libidine per storie di altri posti e altra gente si può dire soddisfatta, e lo ringrazio della disponibilità, e dei racconti. "Figurati, a me fa solo che piacere", risponde, "mi rendo conto della fortuna che ho. Non molta gente può dire di essere stata in Giappone tante volte, o di aver conosciuto le persone che ho conosciuto io, e sono grato di averlo potuto fare".
Attitudine decisamente rinfrescante, come è rinfrescante l'amicizia con qualcuno lontano; e come è rinfrescante un Panshovel in telaio wishbone, una macchina di puro brivido terrore e raccapriccio, il mezzo personale del suo amico Yuji, che vedete sopra.
Queste foto sono proprio di Gianluca, scattate in Giappone ed al Bon Run cui ha preso parte, in esclusiva per noi (era tempo che volevo scrivere una frase del genere).
Poche moto fighe.
Va che sorrisi. Bomba.
In conclusione, un sentito grazie a Gianluca, ai Basara e al Giappone, che se non ci fosse, non ci sarebbe.
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