Marco Cannavò.
Wisdom & Coffee.
Marco è una di quelle amicizie a puntate (ammetto, per colpa mia): ci siamo sempre visti a raduni, giri, eventi di sorta.
Abbiamo sempre chiacchierato con gusto ed interesse, e fra di noi era nata persino una battuta, una practical joke: lui mi invitava sempre a passare al suo locale, in zona Prati, io non mancavo mai di rispondere che sarei passato sicuramente.
La battuta sta nel fatto che, ovviamente, io mancavo sempre alla parola data e non lo andavo mai a trovare.
Negli ultimi tempi, ahimé, non ci credeva neanche più al mio immancabile impegno di passare.
Ma tralasciando la mia conosciuta insipienza come essere umano, Marco è una di quelle persone che rivedi sempre volentieri e di cui approfondiresti la conoscenza altrettanto volentieri.
In più - cosa che ai piani alti (abito al quarto piano, Jack mi pare al secondo, dunque vinco io) di questo sito è vista di buon occhio - ha una motocicletta tra le più fighe e cazzute che si possano vedere in giro per Roma.
Ed ecco com'è nato un bel pomeriggio, in un'assolata domenica di inizio settembre; la città vuota, il Ponte della Musica tranquillo, nell'addormentato quartiere Flaminio.
Marco comincia a raccontarmi un po' di questo ferro dall'aspetto efficace e minimale, senza pochi fronzoli e senza concessioni ad orpelli inutili; in qualche modo il mezzo riesce comunque ad unire raffinatezza e sportività, una cospicua dose di eleganza con una corposa iniezione di brutalità.
Il nostro amico vanta anche il possesso di un altro mostro sacro del motociclismo, ovvero un BMW R 80 GS di inizio anni '90 (quando ancora non sembravano transatlantici - chiedo scusa, ma neanche troppo, agli eventuali possessori di GS odierni che leggeranno queste parole), e dice: "Mi sono sempre piaciute le Harley; quando avevo solo il GS andavo comunque ai loro raduni...e quella che in assoluto mi piaceva di più era il Lowrider, una delle moto più belle della MoCo".
"Ne trovai una del '95, a Firenze, con pochissimi chilometri...e per me è un onore avere la targa Firenze". Questo perché a Firenze si trova HD Speed Shop, uno dei concessionari italiani più longevi, e sicuramente tra i più quotati in fatto di modifiche alle bestie di Milwaukee (insieme, opinione personale, a Rino e alla sua gang di Savona).
Lo stile coltivato dai fiorentini è giustamente famoso per l'abilità con cui riescono a mescolare citazioni intramontabili dall'epoca d'oro di HD (anni '70 e giù di lì) con l'efficacia e la prontezza all'azione di componenti e motori relativamente recenti.
Appena acquistata, la moto presenta un piccolo problemino, e Marco la lascia agli specialisti toscani per risolverlo e dargli subito qualche tocco di pennello.
Il problemino era di poco conto, ma il motore viene revitalizzato con componenti per un tarrello più immediato (vedi camme spinte), un carburatore Mikuni da 42mm e qualche altro tocco per bruciare i semafori rossi.
La carrozzeria (almeno per ora), rimane quella originale, ovvero un rarissimo Custom Shop (motociclette che uscivano di fabbrica già con verniciature speciali) viola e nero: inutile dire, una delle colorazioni più belle e anche rare, almeno in Italia.
L'aspetto rimane invariato finché Marco non si trova fra le mani un serbatoio che sognava da anni, ovvero un AMF originale anni '70 (1974 per la precisione), cosa che gli dà lo spunto per un rifacimento estetico del mezzo, aiutato dagli amici Cristiano e Vittorio di Moto Scomode.
Parafanghi e serbatoio 5 galloni originali vengono appesi in casa (o in garage, non ne ho idea), in favore di parafanghi neri (che fanno sempre la loro porca figura) e lo spettacolare AMF da 10 litri, con una patina originale invidiabile.
Tutto karma positivo che va ad arricchire la motocicletta. Era peraltro lo stesso che si trovava sulle vecchie FX, a partire proprio dal 1974 (quando la FX fu dotata di un serbatoio dedicato, e non più il Fat Bob delle più grandi FL). La Super Glide è progenitrice del Lowrider FXE che apparì nel 1977, e di tutte le altre Dyna più o meno moderne, e qui la vedete col serbatoio di cui sopra!
Lo scarico, originariamente un Supertrapp, viene crudelmente sventrato, ristretto e accorciato dallo specialista del metallo in casa Scomode (se Moto è il nome, Scomode sarà il cognome), ovvero il Secco; viene poi verniciato di bianco per dare effetto ceramicato.
Il motore non viene toccato, rimane l'icona che è sempre stato, ovvero Evolution 1340.
Il tutto sempre rimanendo fedele a quel look fiorentino che Marco adora, quell'elegante mescolanza di stili che potremmo chiamare "garra romantica" o "nostalgia cazzuta" (sto andando a muzzo, perdonatemi).
Un manubrio Biltwell e un paio di manopole Pangea Speed completano il quadro: l'avantreno rimane originale, con i suoi soffietti e il suo faro con palpebra, talmente figo che mi sta venendo voglia di rimetterlo sulla mia.
"Che dici, ci facciamo un giro?", propone Marco dopo le foto, "ti offro un caffè in un bar che ti piacerà".
Ci avviamo per i vialoni sorprendentemente vuoti, sopra il Tevere, diretti verso Prati.
Ne ha fatta di strada da quando viaggiava per le vie di Firenze, ma il Lowrider di Marco non può trovarsi in mani migliori, ovvero nelle mani di uno che con le moto ci gira parecchio. "L'Italia me la sono fatta tutta, in diversi viaggi. Ogni tanto l'estate faccio qualche giro più lungo; di recente sono stato in Costa Azzurra con degli amici che tornavano dalla Spagna: ci siamo incontrati a metà strada e abbiamo passato dei giorni splendidi".
La sua moto fila che è un piacere, con qualche sbuffetto dal Mikuni ancora freddo, e quel minimo "ellittico" dell'Evo che sembra la base ritmica per un blues del Mississippi.
Mi fa passare prima dal suo locale, il Minibistrot, a largo della Gancia, immerso nel signorile quartiere Prati. Nel locale, mi dice, ha modo ogni tanto di curare anche delle piccole mostre o esibizioni di arte, fotografie, opere di amici e conoscenti, in una cornice accogliente e ben curata. Sempre bello conoscere questi posti e queste iniziative; ora che so dov'è, non ho più scuse.
Ma la destinazione è il caffè Sciascia, uno dei bar più antichi di Roma, la cui data di apertura risale al 1919, quando ancora manco esisteva il Flathead.
"Fanno il caffè con una punta di cioccolato dentro, è uno dei migliori di Roma". Di solito non bevo caffè (e la tachicardia di quella notte mi ricorderà il perché), ma sono curioso, e soprattutto non sono ancora così stronzo (...oddio) da rifiutare la cortesia di qualcuno.
E rimango sorpreso: non sono un intenditore, ma il caffè è effettivamente molto buono. Il locale è pieno di fotografie d'epoca appese ai muri.
"Cosa vuoi fare dopo l'Università?" mi chiede a bruciapelo Marco mentre vuota la tazzina. Preso a tradimento dalla domanda, devo aver balbettato qualcosa sul primo uomo su Marte, o una brillante carriera nel porno (come cameraman), o un qualche viaggio in moto da qualche parte. Una delle tre, non ricordo.
"Anche a me piacerebbe", osserva Marco sull'ultima ipotesi, fissando la tazzina vuota. "Un mio sogno è prendere la moto e farmi tutta l'Asia, e arrivare in Giappone via terra".
"Ma per farlo ci voglio tempo e denaro", prosegue riflessivo, mentre usciamo dal caffè. "Anzi, neanche i soldi, perché alla fine qualcosa puoi mettere da parte prima di partire, e andare al risparmio con una tenda, o trovarti qualcosa da fare lungo la strada.
E' il tempo", conclude convinto, con un sorriso malinconico, "il tempo è la nostra vera ricchezza. Me l'hanno sempre insegnato, fin da piccolo, ma te ne accorgi solo quando ti manca".
Parole di una saggezza che trovo rincuorante, il genere di saggezza (e sogni) che speri di trovare in chiunque; e che in un assolato pomeriggio in una città vuota, ho trovato in Marco.
Ringrazio dunque Marco per il suo tempo, la sua moto, i consigli di fotografia che mi ha dato ("Sempre fotografare in manuale!"), il caffè con tachicardia annessa, gli aneddoti, ma soprattutto la conversazione.
Non mi resta che promettere un'altra volta di passare al Minibistrot.
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Shit happens kids, stay safe out there. Peace out!
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