Nella campagna dell'Agro Pontino, in quell'enclave che la provincia di Latina scava nella provincia di Roma, le strade si perdono nel verde, fra il Tirreno ed i colli Albani: occasionalmente puoi veder passare, in un'apparizione extraterrestre flesciante cromo e giustizia su due ruote, un chopper rotolato fuori direttamente dai brutali anni '70, o un bobber impolverato dai roboanti '50.
"Da dove c*zzo è uscito questo?", ti chiederai strabuzzando gli occhi, mentre la sagoma lungaforcata si perde nel riverbero del mare che scintilla qualche chilometro più in là, riempiendo la pianura assonnata di un tuono osceno, per qualche attimo.
Il più delle volte, ti basterà seguire a ritroso il profumo di bicilindrico stagionato, per sapere la risposta: arriverai ad un casolare apparentemente anonimo, tradito solo da una casella postale dipinta di viola metalflake.
Questo è il regno de Lo Scorpione Kustom.
Se siete capitati su questa pagina di vostra sponte, dubito che abbiano bisogno di presentazioni, ma nel caso in cui vi metteste in ascolto soltanto ora, sappiate che sono una delle officine custom più longeve e rinomate d'Italia, le cui allucinanti creazioni citano alcuni degli stili più classici e di culto a ovest dell'Atlantico.
Su riviste di settore più o meno smaliziate avrete potuto vedere una pletora di moto della Madonna che negli anni hanno creato per clienti ed amici. Forse meno spesso avrete visto i mezzi personali di Andrea e Alessio, ovvero le menti e le mani - insieme a Renato - responsabili della magia che avviene fra queste mura.
Molto spesso sono proprio le motociclette personali di meccanici e costruttori a rivelare la loro sensibilità e il loro gusto; sono molto spesso anche quelle con più storia da raccontare: il Softail Evo di Andrea è un perfetto esempio di questo involuto concetto che spero abbiate capito. Le parole mi mancano a volte.
L'apparente semplicità di questo mezzo nasconde in realtà una ricerca ed un'esperienza non comuni da parte di Andrea, che crea il mezzo perfetto, in grado di suggestionare l'immaginazione, e accendere la memoria (almeno per me, indiretta), di tempi in cui le moto erano veramente fatte per andare, e andare fighe.
La base ideale è un Softail Custom del '98, dentro cui impera il motore che più di altri ha saputo rilanciare e ristabilire la MoCo dopo gli altalenanti anni '70, ovvero l'Evolution, nella leggendaria cilindrata 1340.
Ad alimentarlo un carburatore SU. "Perfetto per il kick", assicura Andrea. Dall'architettura elementare, è un carburatore a depressione, il che garantisce anche consumi ottimi per non stare col culo in pizzo in autostrada, con la paura di rimanere a piedi da un momento all'altro. Sensazione che conosciamo bene tutti.
Peculiarità della FXSTC era quella di aggiungere al classico rake di 30° del cannotto un +3 dato dalle piastre inclinate, di modo da creare la più seventies delle stance (?). Il che vorrebbe dire che crea la classica inclinazione dell'avantreno che si poteva trovare a cavallo degli anni '70, solo scritto in modo irritante.
Piastre larghe e ruota da 21 completano lo scherzetto.
Sopra il borsello porta-attrezzi, ornato di gemme rosse, campeggia il faro stock da 5 3/4, quasi piccolo nell'imponenza delle piastre.
Un manubrio buckhorn in due pezzi, fatto a mano da Andrea e sagomato al punto giusto, è stretto dal riser-morsa dei classiconi FLH o Ironhead.
La frizione non c'è perché, indovinate un po', la moto è a variatore.
Battutona, sono in forma stasera. No sul serio, la frizione è a pedale, ed il cambio a mano è comandato da un pomello esoterico che spunta accanto alla bobina.
Regalo di un cliente, la palletta scovata in chissà quale mercatino contiene la carcassa di uno scorpione, quanto mai appropriato visto il nome dell'officina.
I comandi arrivano invece da un'Heritage, e il meccanismo della frizione a pedale è il primo in assoluto realizzato dall'officina, mi dice Renato che lavora sul ponte lì a fianco. "Ho detto a mio figlio, vediamo di farlo così", racconta, "direi che ha retto bene!". Considerato il chilometraggio della moto, direi ottimo lavoro!
La sella, anch'essa realizzata a mano da Andrea, è una classica king & queen corta, con borchie e gemme a sottolinearne il profilo, ed una pelle scelta non a caso, per dare quell'autenticità che migliaia di chilometri sotto chiappa hanno contribuito a cementare.
A far luce dietro ci pensa un fanalino tombstone dal design pressoché uguale all'originale.
Andrea mi rivela però che è un raro aftermarket d'epoca, di una marca mai sentita prima (da me), ovvero J.C. Liang, che sembra il nome di uno stilista dal dubbio gusto estetico. Guardando la linea del faro direi invece che di gusto, chi l'ha creato, ne aveva a secchi.
Cerchio originale da 16", mudflap gemmato e borsa Heritage borchiata - riprendendo il resto della moto - completano il retrotreno.
Ah no aspetta. Quasi dimenticavo gli spaventosi fishtail upswept che troneggiano sugli scarichi Paughco.
Elemento chiave del chopper almeno quanto psilocibina e scarso igiene personale, i terminali non sfuggono ad un trattamento di mano, venendo sagomati leggermente di modo da avere una fin in mezzo, particolare che affila e incattivisce la sagoma già piuttosto minacciosa e inquietante.
..ma anche quella scritta da centinaia di appassionati in officine clandestine, capaci di produrre mostri da lago salato o da sparo notturno sulle autostrade californiane; le stesse dove, in ere diverse accomunate dalla stessa follia, sarebbero passati sbandati del dopoguerra in sella a bobber spogliati di ogni remora, o reietti di liceo dentro violentissimi Ford Model-A rasoterra, o ancora disadatti a petto nudo ed elmetto nazi sopra motociclette fuorilegge.
Immagino uno dei pregi dell'arte è quella capacità di farci perdere nella fantasia, in vite e storie che non sono la nostra. Tutto il trip di cui sopra nasce dalla semplice osservazione del lavoro di Alessio sul serbatoio fat bob brutalmente rimaneggiato e ristretto da Andrea; forma tonda e sfuggente e colori ipnotici si fondono a fomentare una rêverie ubriacante, ed è forse il maggior complimento che possa rivolgere ai due fautori di quest'opera funzionale.
D'altronde di storie, questa moto e il suo proprietario ne hanno veramente una marea da raccontare. Andrea e la sua "Roma Odia" (direttamente da un poliziottesco anni '70) sono conosciuti da anni nel circuito chopperistico italiano: non è raro trovare il suo Evo riposare sotto un po' di ombra all'Hot Side, o prendersi quintali di fanga ai raduni della Road Crew, o smazzarsi qualche migliaio di chilometri verso Super Rally in tutta Europa, o ancora in qualche viaggio all'estero fra amici e famiglia.
Insomma, non una "semplice" motocicletta, ma un totem dinamico al movimento: in ultima analisi, forse come ogni motocicletta dovrebbe essere. Che paroloni. Non sprofondiamo troppo nella pippa mentale che poi non ne usciamo più.
Vabbè. La morale è che se ogni oggetto, anche quello appeso ad un muro, ha qualcosa da narrare...
Ogni tanto la tecnologia mi spaventa - il che suona coerente mentre batto sulla tastiera di un Mac.
In conclusione, un grazie ad Andrea per le storie, le foto e per avermi convertito alle barre rigide. Anche i reni sono riconoscenti.
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Ma non è finita: la prossima puntata parleremo di anarchici su due ruote, dei vantaggi nel non avere freno davanti e dello Shovel di Alessio.
Alla prossima settimana! Forse. Non lo so.
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